venerdì 6 agosto 2010

A ognuno la sua croce

Io, si sa, amo le scarpe. Un particolare tipo di scarpa. In effetti forse sarebbe più corretto dire che mi piacciono i tacchi. Ma non solo: rifuggo all'idea di servirmi delle scarpe come decorazioni per cabine armadio. Secondo me, se una donna esborsa cifre considerevoli per una passione, poi deve viversela alla luce del sole senza farsi turbare da considerazioni di opportunità, sennò è feticismo.

Siccome la maggior parte della mia vita trascorre a casa a studiare oppure in biblioteca a lavorare, va da sè che il luogo privilegiato in cui tendo a fare uso di tacchi è il lavoro. Poichè ho sviluppato solide competenze in materia di ingegneria dei materiali, quando entro in un negozio ho imparato a distinguere al volo il tacco portabile per otto ore, da quello che non può essere nella maniera più assoluta vincolato a spostamenti superiori ai 3 metri per 2. Ci sono tacchi con cui puoi uscire la sera se la destinazione si presta, ma che non ti puoi nemmeno sognare di indossare al lavoro, specie in una biblioteca sviluppata su due piani. In ogni caso sareste sorpresi di scoprire che percentuale di indipendenza vige nello heel holoverse fra le variabili altezza/comodità. Certi tacchi da 6 centimetri possono ucciderti, e altri da 10 essere portabilissimi. Dipende da un'infinità di caratteristiche che virtualmente potrebbero essere appassionanti quanto il catalogo delle balene che solcano le acque dell'Atlantico in Moby Dick. Libro straordinario. Siccome però io non sono Melville, direi che sulle tipologie di tacchi soprassediamo. Però fidatevi di me: avendo occhio, competenze e passione, i tacchi alti si possono portare anche in ufficio.

Ora non è mia intenzione raccontarvi che a forza di portarli diventano comodi come le infradito. Practice makes perfect, d'accordo, ma ci sono dei limiti strutturali oltre i quali non è ragionevole illudersi. I tacchi sono abbastanza scomodi. Terribili all'inizio. Via via più semplici da gestire man mano che li porti. Ma è raro che assurgano mai a esperienza paradisiaca a meno che uno non abbia una sessualità fortemente orientata al masochismo. Cosa che del resto si può dire di un'infinità di altre esperienze nella vita.

Ciò nonostante non smette mai di soprendermi la frequenza con cui mi imbatto in colleghe o conoscenti che so quotidianamente oberate da impegni massacranti, e ininterrottamente intente a pulire, lavare, spazzare, lucidare, accompagnare, sostenere, supportare, sacrificare, tacere, reprimere, sublimare, giustificare, ricucire, ascoltare, e rinuciare - soprattutto rinunciare - che mi osservano a lungo vagamente sorprese e mi chiedono: ma tu come fai a sopportare certi tacchi al lavoro?

Vi dirò, ne ho tratto una massima. Nella vita siamo tutti costretti a impegnarci in cose che incontrano poco o nulla il nostro gradimento. Secondo me il segreto della felicità consiste nello scegliersi quelle che più si confanno alla nostra natura.

Io dei tacchi posso dirlo. Loro non so. Ma alla prima occasione glielo chiedo senz'altro.

5 commenti:

  1. questo è un post che mi ferisce. io ancora aspetto... :o(

    ma siamo pari credo, anche io ho detto che avrei fatto qualcosa, ma fino ad oggi nisba.

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  2. Se vale anche per la natura perversa forse è tutto chiaro, e non mi riferisco ai tacchi.

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  3. sole o non sole, c'era. l'ho visto e l'ho letto. allora anche tu puoi avere dei ripensamenti. sei umana, quindi. (tdl)

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  4. Ripensamenti estetici sopratutto. Faceva cagare e meritava l'oblio. Forse non era l'unico, lo ammetto, ma l'importante è cominciare a fare pulizia. Quanto al tasso di umanità intesa come sinonimo di stato confusionario e presenile, ti stupiresti di scoprire in che misura appartengo al culto in oggetto. Una decana, praticamente. Un abbraccio, testina.

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  5. soprattutto dei ripensamenti!

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