lunedì 30 agosto 2010

Il miracolo della conversione delle topone

E’ che quando leggi che Gheddafi viene in Italia per un’iniziativa austera come la promozione del Corano presso un gruppo di adepte al culto di Nostra Signore delle Vergini Smutandate, e che oltretutto la cerimonia si svolge nel contesto sobrio degli incontri spirituali intimamente sentiti, con l'attenta scrematura vocazionale delle figliole a cura del pio istituto hostessweb, ti viene spontaneo pensare che non deve essere un caso se un capo di stato straniero, desiderando mettere in atto un’iniziativa da festival dell’orrido, sceglie senza esitazioni di realizzarla in Italia.

Io dico che ci sono margini di sfruttamento clamorosi sotto il profilo dell’incentivazione turistica. E’ la nuova frontiera del leisure time. Metti che tu sia un personaggio molto in vista e che questo ti obblighi a mantenere un minimo sindacale di austerità nel luogo dove risiedi, mentre dentro di te brucia il fuoco sacro dell’esibizionismo e di notte sogni solo immense platee osannanti mentre sollevi le braccia al centro dell’arena del circo Togni vestito come Bozo il Clown, cosa puoi fare per dare seguito a una legittima pulsione senza pregiudicare il tuo ruolo istituzionale? Vieni in Italia e fai il cazzo che ti pare, come fanno tutti indipendentemente dalla funzione di responsabilità pubblica che ricoprono. Non devi occultare niente, neanche la fantasia più perversa. Qui ci sono tutte le strutture e la ricettività specialistica che ti servono. E finché la Brambilla resta alla guida del ministero, non c’è nemmeno bisogno di elaborare una strategia promozionale particolarmente raffinata. Basta guardarla per capire subito perché rivedichiamo con orgoglio di essere un paese che non ha confronti.

Nella foto un eccellente esempio di sincretismo religioso fra il culto del Leader Unto e l'Islam: il Glorioso Corano su sfondo di tetta mistica

giovedì 26 agosto 2010

Inutile girarci intorno

Sopportare perché sono forte piuttosto che deludere perché sono infelice. Tollero il dolore meglio del giudizio, e non so dirlo meglio di così.

E' troppo stringato, oppure ho reso l'idea di quanto mi consideri incommensurabilmente imbecille?

martedì 24 agosto 2010

Io le mele le amo. Ciò nonostante nel caso specifico avrei usato un po' più di prudenza

Domenica mattina a pranzo c'eravamo tutti, inclusa mia cognata caracollante. Ormai ha una pancia talmente grossa che non ci passa dalla porta. Per darvi un'idea di quanto sia avanzato lo stadio, vi dico solo che mio nipote potrebbe essere nato anche stanotte, e avrebbe fatto solo il dovere suo.

Insomma a un certo punto, come spesso accade in queste liete libagioni familiari che usano svolgersi intorno a una donna ripiena di bambino, qualcuno ha tirato fuori il partorirai con dolore.

Scherzosamente, va da sè. Mio nipote, l'altro, quello già nato da parecchio - 17 anni a ottobre, battezzato, comunicato, cresimato, a suo tempo un discreto cursus honorum da chierichetto - ascolta con curiosità il colorito adagio biblico e se lo fa anche ripetere. Noi lo ripetiamo: partorirai con dolore! E lui: ma dove sta scritta 'sta stronzata?

E' uno dei tati motivi per cui amo l'educazione cattolica. Perché forma piccoli soldatini e li manda in giro a propagare minchiate. Senza avere la minima idea di cosa stiano parlando.


venerdì 20 agosto 2010

Scherza coi santi e poi vedi che ti capita

Hanno scippato la zia Laura. Un giorno che ho tempo la zia Laura giuro che ve la racconto, anche se poi in effetti non è davvero consanguinea. E' acquisita per via di marito. La zia Laura è un personaggio che pare venuto fuori sputato da certa letteratura provinciale. Che ne so. Fenoglio. Ma al limite anche Fogazzaro, perché basta vederla per sentire l'impulso irresistibile a mettersi all'uncinetto per cucire cinque o seimila centrini di pizzo. La zia Laura è stata scippata da due manigoldi, esattamente nel modo in cui ti immagini si svolgano azioni criminose di questo tipo. Per fortuna è caduta, ma non si è fatta male. Ha preso una botta al ginocchio, ma l'abbiamo già radiografata in lungo in largo e di traverso e siamo certi che non ci siano conseguenze irreversibili. Così gliel'abbiamo data e così ce l'hanno restituita.

La cosa che mi fa morire - con tutto il rispetto per la zia Laura - è che in borsa non aveva soldi. Neanche due svanziche d'euro, nemmeno gli spiccetti color bronzo da 1 centesimo che ti si infilano negli angolini del portamonete e se hai il french sulle unghie non riesci a recuperarli nemmeno incidendo il tessuto col diamante. Cosa che non costituisce un problema per la zia Laura, intendiamoci. Primo, non usa farsi il french. E secondo non aveva moneta di nessuna natura. Nella borsetta c'erano solo rosario e santini. Nient'altro.

E' che mi immagino la faccia dei due stronzi, ecco, una volta arrivati a ragionevole distanza dal luogo del crimine. Me li immagino che aprono la borsetta, frugano con animosità, e tutto quello che trovano sono rosario e santini. Me li immagino che si guardano l'uno con l'altro piuttosto increduli. E mi immagino benissimo il singolare sfrigolio prodotto dalla loro colossale presa in culo.

E' questo che mi rallegra, perché hanno spaventato la zia Laura che è una donna buona che non aveva fatto niente per meritarsi un trattamento del genere. Spero che li becchino, i pezzi di merda, e che li caccino in galera. Ché la soddisfazione più grande di tutte me la prenderei se si beccassero un paio d'anni a testa per sottrazione illecita di icona cristiana e annessi parafernalia liturgici.

mercoledì 18 agosto 2010

In rock veritas

Il film per la verità non m'era piaciuto molto. A parte la solita traduzione del cazzo - ma per quale motivo The boat that rocked deve diventare I love radio rock? -  adesso mi spiego meglio perché. Se scene come queste sono state tagliate per lasciarne altre non memorabilissime, la logica di fondo è evidentemente abbastanza lontana dal buon senso estetico. Misteri della celluloide.

Ad ogni modo è bellissima e mi ha messo un'allegria pazzesca. Il che dipende da diverse ragioni, di cui probabilmente la più significativa è: ossignoreiddio se mi piace ballare!

sabato 14 agosto 2010

Estinzioni senza dignità

Siccome malgrado le evidenti inclinazioni all'apostasia non dimentico mai di essere una donna educata alla fede nel dio di Abramo e Isacco - perché certe cose quando te le insegnano da piccola ti restano sempre dentro, anche quando operi ogni sforzo consapevole per liberartene - ho sempre avuto la debolezza di credere che la fine del mondo sarebbe stata preceduta da segnali piuttosto classici: comete, epidemie, guerre, pestilenze o altri piccoli divertissement di genere, del tutto analoghi a quelli che si trovano sparsi in lungo in largo nella bibbia. Diciamoci la verità: è che ho proprio sempre avuto una speciale predilezione per quel genere letterario. Il deserto mi seduce. Fondamentalmente ho un animus veterotestamentario.

Però a pensarci meglio m'è venuto il sospetto di essermi illusa. Non tanto sulla fine del mondo prossima ventura, che mi sembra comunque un'eventualità meno remotamente improbabile dell'ipotesi che Berlusconi si tolga finalmente dai coglioni, per dire. Ma sulla dignità dell'armageddon che ci aspetta. Perché il deserto e le comete fiammeggianti, gli oceani che si dividono e la Grande Meretrice che attraversa la terra portando con sè morte e distruzione, sono pure sempre immaginari che bisogna meritarsi. Se attraversi il deserto per 40 anni mangiando cavallette e scorpioni allora sei degno di un'apocalisse come dio comanda.

Ma  se invece appartieni a una civiltà che ritiene sia necessario imbarcarsi nella produzione di 4 morbidi piedini in Technogel® da posizionare sotto il notebook o direttamente sulla scrivania, allora l'unica apocalisse che ti meriti è quella che ti coglierà di fronte alla televisione sottraendoti l'ultimo respiro senza che tu nemmeno te ne accorga.

Quando arriverà l'alba del nuovo mondo nessuno sopravviverà sul pianeta, e l'unica luce intermittente ancora percepibile sarà quella di milioni di schermi a cristalli liquidi sintonizzati sulla siglia finale del Grande Fratello. E questo è quanto.

venerdì 6 agosto 2010

A ognuno la sua croce

Io, si sa, amo le scarpe. Un particolare tipo di scarpa. In effetti forse sarebbe più corretto dire che mi piacciono i tacchi. Ma non solo: rifuggo all'idea di servirmi delle scarpe come decorazioni per cabine armadio. Secondo me, se una donna esborsa cifre considerevoli per una passione, poi deve viversela alla luce del sole senza farsi turbare da considerazioni di opportunità, sennò è feticismo.

Siccome la maggior parte della mia vita trascorre a casa a studiare oppure in biblioteca a lavorare, va da sè che il luogo privilegiato in cui tendo a fare uso di tacchi è il lavoro. Poichè ho sviluppato solide competenze in materia di ingegneria dei materiali, quando entro in un negozio ho imparato a distinguere al volo il tacco portabile per otto ore, da quello che non può essere nella maniera più assoluta vincolato a spostamenti superiori ai 3 metri per 2. Ci sono tacchi con cui puoi uscire la sera se la destinazione si presta, ma che non ti puoi nemmeno sognare di indossare al lavoro, specie in una biblioteca sviluppata su due piani. In ogni caso sareste sorpresi di scoprire che percentuale di indipendenza vige nello heel holoverse fra le variabili altezza/comodità. Certi tacchi da 6 centimetri possono ucciderti, e altri da 10 essere portabilissimi. Dipende da un'infinità di caratteristiche che virtualmente potrebbero essere appassionanti quanto il catalogo delle balene che solcano le acque dell'Atlantico in Moby Dick. Libro straordinario. Siccome però io non sono Melville, direi che sulle tipologie di tacchi soprassediamo. Però fidatevi di me: avendo occhio, competenze e passione, i tacchi alti si possono portare anche in ufficio.

Ora non è mia intenzione raccontarvi che a forza di portarli diventano comodi come le infradito. Practice makes perfect, d'accordo, ma ci sono dei limiti strutturali oltre i quali non è ragionevole illudersi. I tacchi sono abbastanza scomodi. Terribili all'inizio. Via via più semplici da gestire man mano che li porti. Ma è raro che assurgano mai a esperienza paradisiaca a meno che uno non abbia una sessualità fortemente orientata al masochismo. Cosa che del resto si può dire di un'infinità di altre esperienze nella vita.

Ciò nonostante non smette mai di soprendermi la frequenza con cui mi imbatto in colleghe o conoscenti che so quotidianamente oberate da impegni massacranti, e ininterrottamente intente a pulire, lavare, spazzare, lucidare, accompagnare, sostenere, supportare, sacrificare, tacere, reprimere, sublimare, giustificare, ricucire, ascoltare, e rinuciare - soprattutto rinunciare - che mi osservano a lungo vagamente sorprese e mi chiedono: ma tu come fai a sopportare certi tacchi al lavoro?

Vi dirò, ne ho tratto una massima. Nella vita siamo tutti costretti a impegnarci in cose che incontrano poco o nulla il nostro gradimento. Secondo me il segreto della felicità consiste nello scegliersi quelle che più si confanno alla nostra natura.

Io dei tacchi posso dirlo. Loro non so. Ma alla prima occasione glielo chiedo senz'altro.